Platone, nella sua opera Il Fedro, riferendosi alla scrittura sottolineò e avvertì come l’introduzione di una nuova modalità di comunicazione e l’utilizzo di una forma piuttosto che di un’altra può modificare il modo di pensare, di relazionarsi, se non addirittura quello di vivere. Riportando ai giorni nostri questa considerazione, si potrebbe sottolineare come l’invenzione e la diffusione della comunicazione in rete trasformi il modo di pensare, di agire, di relazionarsi e di percepire e rappresentare emozioni, conoscenze, espressioni di sé. Negli ultimi anni l’affermarsi della comunicazione digitale negli ambienti social della Rete, come Facebook, YouTube, Instagram e le piattaforme di messaggistica istantanea come Whatsapp o di connessione video-vocale, come Skype, hanno non solo preso sempre più consistenza e riempito gli spazi della vita di ogni giorno, ma, sempre più spesso, nonostante una loro effettiva utilità, si sostituiscono, in certi casi totalmente, all’incontro interpersonale e alla relazione faccia-a-faccia.
Si tratta di un fattore di problematizzazione attualmente ancora basso, seppure in costante crescita, in relazione al numero di persone che utilizzano i dispositivi elettronici preposti a queste funzionalità. Ma in un momento storico dove si attraversa una difficoltà relazionale di fondo a livello sociale, politico ed economico, e dove tutto sembra avanzare verso una sempre più veloce modificazione della scala valoriale, una procedura relazionale come questa, in cui si scegli di incontrare l’altro in Rete piuttosto che al parco, sottraendosi alla bellezza, e anche alla fatica, di porsi concretamente e fisicamente di fronte a lui, rivela in parte una non adeguata capacità di scegliere il canale comunicativo con cui interagire con l’altro e, nello stesso tempo, mette a rischio la dimensione profonda della persona che si costruisce nella relazione e nell’incontro con l’altro. Ebner parlava dell’incontro interpersonale in termini di “singolare e imprescindibile chanche” per il Menschwerdung (dal tedesco, “incarnazione”) di ogni essere umano concreto, uomo o donna che sia.
Oggi il mondo della Rete rappresenta quell’elemento nuovo di cui parlò Platone. Ormai è il “luogo antropologico” in cui trovano spazio informazione, relazioni, giochi e divertimento, economia e transazioni, ma dove soprattutto si arriva a non distinguere più facilmente il mondo online da quello offline. Tutto appare reale. Basti pensare al genere di relazione che si stabilisce online. Appare scevra, privata del fattore umano che contraddistingue i viventi dai non viventi: il contatto fisico e visivo. Questo tipo di relazione rischia di diventare (e spesso lo diventa) patologica, ingabbiata nei limiti di un mondo che dovrebbe integrare quello reale, e non sostituirlo. Da qui la necessità (e anche l’urgenza) di alfabetizzarsi e promuovere le competenze in tutte le fasce d’età, per fruire con correttezza delle risorse e degli ambienti positivi della Rete, perché quegli aspetti di ambiguità e di rischio, non diventino esperienze di pericolo soprattutto per le giovani generazioni.
Vivere nell’era digitale significa vivere in qualche modo una mutazione nella concezione, nella rappresentazione e nella espressione della relazione interpersonale. In ambito educativo le difficoltà comunicative possono essere in parte alimentate dalla situazione generale inerente l’empasse comunicativa che permea il tessuto sociale; ma al di là dei problemi riscontrabili dall’introduzione all’interno dei processi comunicativi di canali come quelli social, cos’è che profondamente rende vano quello che a volte è anche semplicemente un tentativo di migliorare il nostro stile di comunicare e interagire con gli altri? Chiunque, infatti, presto o tardi di fronte a situazioni comunicative difficili ne sperimenta la fatica. Herbert Franta, ancora lui, risponde a questo interrogativo mettendo in luce cause diverse: la mancanza di modelli di autentiche relazioni interpersonali; il non sapere a volte qual è il comportamento che risulta o meno funzionale alla situazione comunicativa che si sta vivendo e l’incapacità a trovare valide alternative; il timore che una comunicazione non difensiva e non direttiva non garantisca diritti ed interessi personali; l’assenza di feedback positivi e negativi, ma soprattutto corretti, negli scambi comunicativi; l’assenza di condizioni per imparare individualmente a comunicare correttamente. Franta rafforza dunque il concetto secondo cui «la competenza comunicativa è formata da varie unità comportamentali» per esprimere la necessità di lavorare su tutte le componenti della propria sfera interiore (psicologica ed emotiva) al fine di poter sviluppare un grado di competenza che possa risultare efficace.